Cosa sta succedendo alla frontiera tra il Brasile e il Paraguay, nella fattispecie tra Ponta Porã, a sud dello Stato brasiliano del Mato Grosso do Sul, e Pedro Juan Caballero, città situata dall’altro lato del confine in territorio paraguaiano?
La polizia del Brasile e quella del Paraguay stanno tentando di capire se, sulla frontiera tra i due Paesi, si sia formato uno squadrone della morte o se l’ondata di omicidi, ben sei a partire dal 26 di luglio, sia riconducibile ad una faida o ad un regolamento di conti tra gruppi criminali rivali o anche all’interno della medesima organizzazione. Questa seconda ipotesi, a giudicare dal tipo di esecuzioni e dalla geografia criminale presente in questa parte della frontiera, appare difficile da sostenere. Le vittime, tutti giovanissimi al di sotto dei venticinque anni e alcune senza nessun precedente penale, sono state uccise a sangue freddo, ma in due casi sadicamente torturate, poi mutilate, infine uccise. Al lato di queste sono stati lasciati avvisi, a volte in portoghese, altre in spagnolo, diretti ad altri possibili bersagli, spiegando, in parte, le ragioni alla base degli omicidi. Quantità e modalità delle esecuzioni, che non sembrano inquadrarsi nel modus operandi di nessuna facção criminale brasiliana, le quali non sono solite accompagnare i loro delitti con messaggi scritti.
Oltre agli obiettivi dei sicari sono anche da registrarsi alcune morti collaterali, come nel caso della coppia paraguaiana assassinata con trentacinque proiettili nella notte di lunedì 26 luglio in una birreria di Pedro Juan Caballero. Con ogni probabilità, l’obiettivo dei killer era Mateo Martinez Armoa, di 21 anni e con alcuni precedenti penali per reati contro il patrimonio. Accanto ai corpi la polizia ha trovato un messaggio, in spagnolo, dove era scritto: “Per favore, non rubare. Firmato: i Giustizieri della Frontiera”. La coppia in quel momento stava festeggiando il compleanno della seconda vittima, Anabel Centuriò Mancuelo, di 22 anni, senza alcun precedente penale, la qual cosa sembrerebbe caratterizzarla come una vittima collaterale dell’agguato. La polizia paraguaiana, intervenuta sul posto, pensa ad un gesto di giustizia sommaria per punire il fidanzato della ragazza, Mateo Martinez Armoa, il quale, oltre ad essere stato il destinatario della maggior parte dei colpi esplosi, era ricercato dal 2018 dalle autorità paraguaiane con l’accusa di furto.
La porzione di territorio compreso tra Ponta Porã e Pedro Juan Caballero è da alcuni anni stabilmente nelle mani del Primeiro Comando da Capital, organizzazione originaria dello Stato di San Paolo, la quale, dopo l’eliminazione nel 2016 di Jorge Rafaat, conosciuto come il “Re della Frontiera”, ha assunto il controllo della stessa frontiera, considerata un corridoio strategico per il passaggio dei carichi di cocaina e marijuana diretti, per la gran parte, verso il porto paulista di Santos e da lì inviati in Messico e nei vari porti europei, principalmente quelli olandesi e il porto italiano di Gioia Tauro.
Ciò detto, questa ondata di omicidi alla frontiera non sembra recare la firma del PCC, né di altra fazione criminale brasiliana o paraguaiana e ancor meno dello EPP (Exército do Povo Paraguaio – Esercito del Popolo Paraguaiano). Per quanto concerne, nello specifico, il Primeiro Comando da Capital, occorre ribadire che, oltre a non essere lo stile sicariale, per così dire, degli irmãos, non sembra esistere, al momento, alcuna fondata ragione per la quale mettere a rischio un corridoio di primaria importanza per i propri traffici di droga, come quello di Pedro Juan Caballero/Ponta Porã, per giustiziare alcuni ragazzi, poco più che adolescenti, attirando in tal modo su di sé le indagini tanto della polizia brasiliana come di quella paraguaiana. Al netto di una guerra in corso e ancor più laddove il riferimento sia ad un territorio economicamente strategico per l’organizzazione criminale in oggetto, l’omicidio si configura come una extrema ratio, che è esattamente ciò che avvenne con l’omicidio di Jorge Rafaat nel 2016.
Entro questa prospettiva, sia consentita una parziale divagazione, ricordando quanto espresso da Samira Bueno, attuale direttrice del Fórum Brasileiro de Segurança Pública (Forum Brasiliano di Pubblica Sicurezza). La sociologa, nel corso di una recente intervista al portale di notizie UOL, ha stigmatizzato le contraddittorie politiche di lotta al traffico di stupefacenti, le quali non avrebbero sortito altro effetto, se non quello di rafforzare un’organizzazione come il PCC. Bueno sottolinea, in particolare, la totale inadeguatezza delle attuali politiche statuali con riferimento alle droghe, ben esemplificata proprio dalla struttura imprenditoriale del Primeiro Comando da Capital, capace di operare come player nel redditizio business sudamericano delle sostanze proibite, su tutte la cocaina. Una situazione di atacado assai di rado compresa dagli apparati di sicurezza brasiliani, i quali, eccezion fatta per alcune operazioni svolte dalla Polizia Federale e dal GAECO, sembrano ogni volta ridurre la complessa questione del narcotraffico ad una dimensione di varejo, di vendita al dettaglio, per fronteggiare la quale sarebbero sufficienti le frequenti e criminali incursioni di guerra nelle varie comunità che vivono all’interno delle affamate favelas brasiliane.
“Questa logica di lotta al traffico di droga mirata al traffico al dettaglio è responsabile per le dimensioni che il PCC ha raggiunto”, osserva Bueno, puntando il dito contro lo Stato per una simile, e direi anche prodigiosa, crescita del Primeiro Comando da Capital negli ultimi anni, tanto sul suolo brasiliano come su scala internazionale. Alle pur giuste parole della direttrice del Forum Brasiliano di Pubblica Sicurezza, ritengo sia da aggiungere una ulteriore, breve riflessione, che, in certo modo, riconduce al caso dei Giustizieri della Frontiera. Ciò a cui da anni stiamo assistendo in Brasile è la costruzione di uno schema circolare, con riferimento alla supposta lotta alla droga, di cui, da ultimo, tutti gli attori sociali coinvolti sembrano beneficiarsi.
Ciò che per Samira Bueno sono politiche erronee, rappresenta, in realtà, un progetto pianificato e al tempo stesso una gabbia dalla quale sarà oltremodo difficile uscire. Siamo di fronte alla costruzione di un circolo poliziesco-mediatico-criminale, che ha, al suo inizio e al suo termine, il ‘cittadino-ultima ruota del carro della favela’, il quale vede costantemente invasa la propria comunità, a volte addirittura la propria abitazione, da parte delle forze di polizia, dopodiché passa per la gogna mediatica a cui tale comunità è esposta, finendo, un tale circolo, con la obbligatoria accettazione, da parte del nostro ‘cittadino-ultima ruota del carro’, del potere criminale che governa la sua comunità, la sua quebrada, sotto forma di organizzazione criminale classica o, come ormai da anni accade a Rio de Janeiro, sotto forma di potere criminale ibrido: il potere espresso dalle milizie paramilitari, assai più pericolose di qualsivoglia facção a causa dei suoi addentellati con le forze di pubblica sicurezza e la politica.
Non a caso, se qualcuno facesse oggi una ricerca, comparando il numero di processi in corso contro membri di organizzazioni del crimine organizzato e quelli contro membri facenti parte di milizie, si accorgerebbe della estrema disparità di trattamento. Al netto di ogni misura giudiziaria, scelta politica o campagna mediatica, appare ancora complicato, malgrado qualche condanna sia arrivata, riuscire a portare alla sbarra soggetti vincolati alle milizie, in particolare nel contesto di Rio de Janeiro. Tali ottuse politiche di lotta al traffico di sostanze stupefacenti non rappresentano un errore di prospettiva da parte dello Stato, del quale si avvantaggiano le organizzazioni criminali, ma, tutto al contrario, un efficiente e pianificato sistema di controllo sociale, mediante il quale si esclude, sempre e in maniera sistematica, una determinata porzione della società brasiliana, in particolare quella afrodiscendente, da ogni possibile processo di emancipazione sociale.
Il circolo poliziesco-mediatico-criminale è, da ultimo, un sistema conveniente per tutti: per lo Stato, che sostituisce un problema di salute pubblica – e su scala più ampia di geopolitica internazionale – con un problema di pubblica sicurezza, il quale, da un lato, presenta il “pregio” di vendere la storia del giorno al sistema mediatico (giornali, televisioni, aficionados delle reti sociali e via dicendo…), mentre, dall’altro, lasciandosi ogni volta dietro una lunga scia di morti senza nome e senza voce – coloro che vivono nelle comunità invase con spettacolari operazioni di polizia -, finiscono per ingrossare le fila di quelle stesse organizzazioni criminali, come il Primeiro Comando da Capital, che, a parole, dicono di combattere.
Da parte loro i vari PCC, Comando Vermelho, Terceiro Comando Puro etc. vengono a disporre, grazie a queste smidollate politiche pubbliche adottate dallo Stato brasiliano, di un esercito criminale di riserva sempre disponibile nelle comunità, per la strada, come pure nei vari istituti penitenziari in cui le varie facções impongono il loro potere. Si tratta di un circolo chiuso, tanto più difficile da spezzare in ragione della sua sostanziale autonomia di funzionamento e della totale assenza di politiche sociali atte ad offrire una diversa prospettiva a tutti coloro, soprattutto i più giovani, che si trovano a nascere e a crescere stritolati tra l’arbitrio e la violenza, volta a volta esercitati dalle forze di polizia e dalla criminalità organizzata. In un contesto come questo, dove mai potrebbe sbocciare il fiore della non-violenza, del perdono, del pacifismo? Valori non trattabili, perché, come direbbe Walt Whitman, ogni volta riconducono alla vita.
Vita, che sembra costituire il più trattabile dei valori per questi autodefinitisi Giustizieri della Frontiera. E le indagini? Il Segretario di Giustizia e Sicurezza Pubblica del Mato Grosso do Sul, Antônio Carlos Videira, sentito nei giorni scorsi dal giornale Estadão, ha dichiarato che le morti possono essere azioni condotte da narcotrafficanti al fine di eliminare coloro riconosciuti colpevoli di furti. “I crimini contro il patrimonio generano molto clamore pubblico e riempiono la regione di polizia, ciò che mette a rischio i loro traffici”. Videira non esclude il possibile legame di questi omicidi con il PCC, ricordando come, nel corso dell’ultimo periodo, diversi soggetti sospettati di furto sono stati giustiziati tra Pedro Juan Caballero e Ponta Porã, venendo lasciati ogni volta, sui luoghi dei delitti, messaggi che spiegavano le ragioni dell’omicidio.
La spiegazione, tuttavia, anche alla luce di quanto rilevato in precedenza, semina più dubbi che certezze. In primo luogo perché, come messo in luce dal giornale Ponta Porã News il giorno 2 agosto, non tutte le vittime avevano precedenti penali. In almeno un caso, si trattava di soggetti incensurati con un lavoro regolare, non presentando alcun tipo di legame con la microcriminalità, né col crimine organizzato presente sulla frontiera. Anche la tesi concernente una possibile vendetta del crimine organizzato, nella fattispecie il Primeiro Comando da Capital, legata a furti che, secondo il Segretario, potrebbero riempire di polizia il territorio tra Pedro Juan Caballero e Ponta Porã, appare presentare punti critici difficili da risolvere. Gli omicidi, in forma sporadica, vanno avanti da mesi, registrandosi una escalation soltanto a partire dal 26 luglio, con ben sei omicidi commessi a poca distanza di tempo l’uno dall’altro.
Qualora una organizzazione criminale volesse punire furti commessi da parte di ladruncoli locali, di omicidio ne commetterebbe uno, eventualmente anche con modalità efferate al fine di mandare un messaggio, non sei consecutivi. L’effetto, in quest’ultimo caso, sarebbe proprio il contrario di quanto auspicato, attirando indagini e servizi giornalistici a livello nazionale. Tuttavia, volendo, in uno sforzo di ipotesi, prendere per buone le parole del Segretario Videira, si potrebbe pensare ad un gruppo locale, che abbia un qualche legame col Primeiro Comando da Capital e che, in una maniera assai inconsueta per le rigide regole del crimine, si sarebbe arrogato il diritto di scatenare una sadica caccia all’uomo sulla frontiera.
A supporto di questa tesi, vi è che la morte per squartamento da vivo, inflitta ad una delle vittime, è una punizione effettivamente contemplata dal PCC, conosciuta con l’espressione xeque-mate (‘scacco matto’) e riservata a stupratori e pedofili. Nella logica criminale dell’organizzazione, la ratio alla base di una tale efferata morte va ricercata nel suo valore di monito al fine di disciplinare altre possibili condotte deviate da parte di suoi affiliati o collaboratori che “corrono” col Comando. Per altro verso, la tesi che vedrebbe responsabile un gruppo locale alleato del Primeiro Comando da Capital sembra presentare due inconsistenze di non poco conto. La prima è che almeno una delle vittime sembrerebbe essere vincolata al PCC e la seconda è che la fazione criminale di San Paolo, al pari dei suoi alleati e delle altre facções brasiliane, è solita rivendicare i propri atti di sangue.
L’opzione più verosimile, con riferimento a questa ondata di omicidi, sembra essere quella dello squadrone della morte, il cui obiettivo era proprio quello di attirare su di sé le attenzioni dei mezzi di comunicazione ed eventualmente anche fomentare una possibile guerra tra fazioni criminali rivali. Soggetti sadici e armati che metterei in connessione più con le forze di polizia brasiliane locali che non con i membri di una qualche organizzazione criminale operante sulla frontiera. Il Brasile ha uno storico cospicuo di squadroni della morte formati da poliziotti ed ex-poliziotti, talvolta foraggiati dalle élites imprenditoriali locali, dediti ad esecuzioni sommarie di quelli da loro definiti ‘banditi’ o di persone che vivono ai margini della società. La tesi dello squadrone della morte, formato da esponenti delle stesse forze dell’ordine locali, al soldo di commercianti e imprenditori dei due lati della frontiera, aiuterebbe anche ad “inquadrare” meglio le parole del Segretario di Giustizia e Pubblica Sicurezza Videira e contestualmente la sua ansia di affibbiare al PCC la responsabilità degli omicidi. Nel Brasile di Bolsonaro la presenza di uno squadrone della morte al confine tra Brasile e Paraguay potrebbe paradossalmente apparire, agli occhi del cidadão de bem brasiliano, come la risposta più coerente al fine di liberare il territorio della frontiera dal peso delle più o meno strutturate organizzazioni criminali che lo occupano.
Ciononostante una simile risposta rischia di avere conseguenze devastanti, tanto nel breve come nel lungo periodo. Nel breve periodo – ciò di cui già si è avuta una cospicua testimonianza nei giorni scorsi per mezzo del comunicato social dei Guardiões do Crime, riportato sul giornale Campo Grande News, i quali si definiscono nemici del PCC e alleati dello EPP (Exército do Povo Paraguaio – Esercito del Popolo Paraguaiano) – perché una simile ondata di omicidi potrebbe trasformarsi nel pretesto per scatenare una guerra sanguinaria tra opposte facções criminali, e nel lungo periodo, perché gli squadroni della morte sono da sempre un brodo di coltura perfetto per lo sviluppo delle milizie, brasiliana declinazione del paramilitarismo. Si comincia con la scusa di trasgredire la legge per raggiungere un obiettivo superiore, la messa in sicurezza della parte “sana” della società, e si finisce sostituendo quelle stesse organizzazioni criminali, che in un primo momento si diceva di voler combattere. Anche con riferimento al già citato comunicato pubblicato nei giorni scorsi dai Guardiões do Crime su Facebook le cose si presentano tutt’altro che chiare. I GdC dicono di essere nemici del Primeiro Comando da Capital e di stare al lato dello EPP, ciononostante, l’alleanza tra il PCC e l’Exército do Povo Paraguaio è di antica data e strategica per entrambi, riguardando la produzione agricola, legale e illegale, di una parte considerevole del territorio occidentale paraguaiano.
Come ricordato da Ricard Wagner Rizzi sul suo blog, dall’interno di un carcere paraguaiano è trapelata la notizia, proveniente da una fonte esterna al Comando paulista, che i Giustizieri sarebbero finanziati da commercianti dei due lati della frontiera e che la loro azione vedrebbe la partecipazione, diretta e indiretta, di membri della Polizia Civile del Mato Grosso do Sul. Informazione, questa, confermata anche da ambienti legati al Primeiro Comando da Capital attivi sul lato brasiliano della frontiera. Da ultimo, infine, non mi sentirei di escludere la possibilità che obiettivo precipuo delle sadiche esecuzioni dei Giustizieri della Frontiera sia quella di fomentare una guerra tra i Guardiões do Crime e il Primeiro Comando da Capital.
Uno squadrone della morte formato da agenti di pubblica sicurezza brasiliani con bersagli, scelti a caso, di basso o alcun spessore criminale a fungere da fattore scatenante per un bagno di sangue tra opposte facções criminali. Lettura, questa, che potrebbe anche porsi in sinistra continuità con le parole del Segretario di Giustizia e Pubblica Sicurezza del Mato Grosso do Sul, Antônio Carlos Videira. Quale che sia la soluzione di questa brutale ondata di omicidi sulla frontiera, già stremata di morti, tra Brasile e Paraguay, possiamo stare certi che il circolo poliziesco-mediatico-criminale ne uscirà ancora una volta rafforzato. Di nuovo, a spese di un cittadino, che, in troppi luoghi di questo Paese, è soltanto una parola vuota.
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Photo credit: Facção PCC 1533 Primeiro Comando da Capital
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